Invochiamo lo Spirito Santo chiedendo una profonda conoscenza di noi stessi con l'inno Veni Creator. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Vieni, oh Spirito Creatore, visita le nostre menti. Riempi della tua grazia i cuori che hai creato. Oh dolce Consolatore, dono del Padre Altissimo, acqua viva, fuoco amore, santo crisma dell'anima.
Dito della mano di Dio, promesso dal Salvatore, irradia i tuoi sette doni, suscita in noi la parola. Sii luce all'intelletto, fiamma ardente nel cuore, sana le nostre ferite col balsamo del tuo amore.
Difendici dal nemico, reca in dono la pace, la tua guida invincibile ci preservi dal male. Luce di eterna sapienza, svelaci il grande mistero di Dio Padre e del Figlio, uniti in un solo amore. Amen. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Carissimi amici, andiamo avanti con questa nuova lezione di
della nostra grande preparazione per consacrarci a Maria Santissima. Il tema della sofferenza sicuramente per molti di voi, avendo visto il titolo,
Evidentemente tratta un tema fondamentale, essenziale, però magari qualcuno di voi si chiederà, che nonostante l'importanza del tema, perché riferirlo a questa conoscenza di noi stessi. Non sembra direttamente legato avere un concetto della sofferenza alla conoscenza di me. In realtà, propriamente, la sofferenza è non solo un concetto, ma è una specie di qualità.
chiamiamolo così, in ognuno di noi e che in base a questa qualità conosciamo il più profondo di quanto c'è in noi. San Giovanni Paolo II diceva così, che la sofferenza, il concetto di sofferenza, è tanto profondo quanto l'uomo stesso. E talmente, dice San Giovanni Paolo II, arriva al profondo dell'uomo.
questo senso della sofferenza, che non finisce lì, ma che le rivela il suo essere trascendente. Infatti è molto interessante che quando le persone, per esempio anche un ateo, che si chiede il perché delle cose, troverà diverse risposte, quando esige certe cose le chiederà quella, però quando soffre qualcosa molto profonda, chiederà spiegazioni sempre a Dio, o si arrabbierà con Dio, o chiederà il perché a Dio.
però è come che la sofferenza tocca già il più profondo dell'anima umana e la riporta nel suo essere trascendente. Anche gli animali soffrono, gli animali non si chiedono il perché della sofferenza, gli animali non cercano un senso per il quale devono soffrire. Soltanto l'uomo è di questa domanda, cioè in cui consiste fondamentalmente la sofferenza. Però, come potete vedere,
Questo che non è tanto un concetto, perché la verità della sofferenza è troppo personale, è qualcosa di troppo personale, in maniera tale che chi soffre una cosa è l'unico che capisce questa sua sofferenza.
Perciò ci sono tanta diversità di sofferenze come la diversità delle persone. Noi conosciamo persone che sicuramente mi stanno sentendo adesso, persone come voi che forse soffrite, avete grandi motivi di sofferenza. Ci saranno alcuni tra voi che veramente hanno poco motivo di sofferenza.
Tra di voi ci saranno alcuni che hanno un motivo grande di sofferenza per una grande disposizione, quindi questa grandezza della sofferenza non gli sembra così grande. Ci saranno altri tra di voi che soffrite poco, però non siete neanche pronti per quel poco, e magari quella sofferenza le date una dimensione troppo grande. Quindi è un concetto molto soggettivo, se si vuole. La sofferenza non esiste fuori dalla persona che soffre propriamente.
Però è vero che tutti soffrono e nessuno può fuggire a questo. E quindi tutti cercheremo non tanto di chiederci perché io devo soffrire. La prima risposta è guarda tutti soffrono, buoni, cattivi, persone di una certa nazione, di una certa razza, qualsiasi tipo di persone, persone piene di poteri, persone umili, tutti devono soffrire.
La domanda non riguarda perché esiste la sofferenza, perché ormai è un dato di fatto. La domanda è per quale scopo, a che serve che io soffra? E' lì la domanda fondamentale che genera o la speranza o la disperazione.
Però se voi pensate, il tema della sofferenza è molto legato alla personalità. Quando noi pensiamo agli eroi nazionali, per esempio, pensate ad un eroe nazionale che non sia giustamente un eroe, considerato eroe, se non per le sue sofferenze, se non per i suoi sacrifici, per la causa per cui lottava, per cui difendeva. Pensate ai Santi, la nostra ammirazione nei Santi, e soprattutto in quella fortezza, in quella fortezza davanti alle prove, no?
Quella grandezza di animo, una persona magnanima, dice San Basilio, si manifesta soprattutto nel senso, nella capacità di soffrire. Dice, l'atleta si dimostra vero atleta nello stadio, il timoniere si dimostra vero timoniere o bravo timoniere nella tempesta, non quando il mare è calmo. E il magnanimo si manifesta tale nella difficoltà, nella sofferenza.
Sanec Superi, l'autore del Piccolo Principe, aveva un'espressione, non so se in questo stesso libro, ma in una delle sue lettere, dove diceva questa espressione. La sofferenza è l'atto essenzialmente umano, cioè l'atto che rende all'uomo uomo. E quando noi vediamo animali che soffrono perché magari colpiti o maltrattati,
E noi possiamo dire che soffrono, e certamente sono cose che dopo il Nuovo Testamento, dice Sant'Omaso, gli animali vanno trattati bene. Però non possiamo parlare di sofferenza, perché la sofferenza è reale ed è tale in base allo spirito che soffre. Perché possiamo parlare di una sofferenza fisica, questa sì tra gli animali e noi potrà essere la stessa, però la sofferenza spirituale...
è quello che riguarda il dolore dell'anima. E questo, più profonda è l'anima, più profondo è il dolore. Perciò nessuno ha sofferto come Gesù Cristo, perché talmente profonda è la sua anima e talmente era profondo il suo dolore. Perciò, nonostante uno può descrivere che ci sono state situazioni di dolori fisici, peggiori anche della crocifissione, pure se la crocifissione
Era la morte più crudele, perciò viene scelta per lui. Però uno potrebbe dire, ci sono altre persone che hanno sofferto cose più umilianti. Sì, ma nessuno con quell'anima così delicata, così innocente, così che percepisce così profondamente il senso del peccato, il senso del dolore, come l'anima di Gesù Cristo. Perciò il dolore di Cristo non ha paragone a nessun altro dolore, per la profondità della sua anima.
La sofferenza è qualcosa molto presente e sempre che si è voluto dare un senso. Oggi, con quella mentalità mondana, attuale, quella mentalità contemporanea, si danno risposte del tutto assurde, completamente ridicole. Per esempio, si dice in alcune parti che il sacrificio non esiste, non è reale, è solo una invenzione immaginaria mia. Ma questo è ridicolo.
Pensate a una persona che perde un caro in famiglia. Che cosa immaginaria. Anzi, non sarebbe umano se la persona non soffrisse per questo. Io ricordo, a noi è capitato che io avevo vent'anni, ero seminarista, ero dall'Argentina, ci hanno detto di fare una missione nel Perù.
ero andato a fare una missione popolare, e lì mi raccontano, finendo la missione in Perù, siamo passati in Ecuador, e prima di iniziare la missione mi avvisano che mio padre era deceduto, giovane, molto giovane, da un giorno all'altro. E io ricordo la gente, per consolarmi veramente, la consolazione più grande è la vicinanza della gente, che loro veramente in qualche maniera si rendono...
presenti in maniera tale da che vogliono rattristarsi con te per caricare un po' il tuo peso. Questo è molto bello. Però è vero, è vero, che una delle impressioni che uno ha è come che nessuno capisce quello che uno prova in quel momento. La sofferenza è qualcosa di troppo personale. Però la cosa era che molti, per aiutarmi, per consolarmi, mi davano veramente alcune risposte veramente ridicole, con la migliore buona volontà. Però, per esempio,
Una persona molto buona mi diceva, scusa, perché sei triste? Durante il funerale di mio papà. E io dico, che vuoi che ti dica? E lui mi diceva, no, ma tuo papà non è morto. E rideva come dicendo, guarda che ridicolo sei, credi che è morto? Lui sta qui, sta galleggiando qui in mezzo a noi.
Va benissimo, io preferivo pensare che era in paradiso, che stia galleggiando in mezzo a noi. E al di là della buona intenzione della persona, è l'atteggiamento di negare il dolore, di negare cose che sono realissime, la sofferenza è reale.
A me piacerebbe dire a voi che non state soffrendo. O se io incontrasse uno di voi che sta soffrendo, lo consolerei il massimo che posso. Mi carico anche io la croce per sostenervi. Però non posso dire che non stai soffrendo. La sofferenza è reale. E alcuni vogliono dire questo, no? Così come tutte le cose che sono...
Oggi con battute come la famiglia, per esempio, si negano cose evidenti. La maternità, abbiamo parlato quando parlavamo della cultura della morte. La maternità non esiste, è un concetto antropologico, un concetto. Come un concetto? Il rapporto madre-figlio è un concetto, non è reale. Cose da pazzi. Bene, anche se dispiace, bisogna dire che la sofferenza è reale e accompagna l'uomo dall'inizio alla fine della sua vita. E accompagna tutti gli uomini.
Io posso essere più forte di sopportarla, posso anche rallegrarmi nella sofferenza. Lo fa anche un soldato che si rallegra nel difendere la sua patria. Lo fa un calciatore che si impegna allenandosi, che si sacrifica con l'allenamento per poter diventare un bravo calciatore. Si rallegra il papà di famiglia delle sue fatiche, perché con queste può mantenere la famiglia.
E si rallegra il cristiano di poter offrire a Gesù Cristo una compagnia nei suoi dolori, si rallegra il cristiano di che si spalanchino le porte del cielo, però è reale e anche se non si piace parlare di questa, di essa, della sofferenza, dobbiamo noi parlare senza paura. Altre risposte, si dicono sì, la sofferenza è reale, ma solo i cattivi devono soffrire. Il buono non può mai soffrire. Guardate,
Se il buono non può mai soffrire o l'innocente non può soffrire, per noi è normale, per l'applicazione della giustizia, diciamo che i cattivi devono soffrire, ma i buoni no. Guardate, non è così, non è la realtà. Non è neanche cristiano pensare così. Perché se fosse così, le due persone più innocenti,
Più innocenti di un bambino neonato, le due persone più innocenti della storia, sono state le due persone più sofferenti della storia, Gesù Cristo e Maria Santissima. Più innocenti di un bambino neonato, anche battezzato, erano loro due. E nessuno in questa vita, come loro due, ha dovuto soffrire. Perciò non è giusto dire che solo i cattivi devono soffrire. La domanda è perché si soffre.
Però bene, oggi si cercano risposte per annullarlo, no? Perciò l'eutanasia viene fatta perché la persona non soffra. Davanti alla persona non sofferente, forse quello che si vuole liberare è della scomodità di vedere una persona sofferente. E aggiungerle a una persona priva di beni, perciò la persona può essere in depressione, aggiungerle il bene più grande che è la vita.
o si calcola la felicità di una persona, per esempio prima di nascere un bambino, no, no, non sarà felice perché ha tale problema, come sai che non sarà felice? Allora l'aborto viene considerato vita non degna. Chi siamo noi per dire chi sarà felice e chi non lo sarà? Bene, la sofferenza deve esistere, perché altrimenti Dio dovrebbe annullare la libertà delle persone. Mentre l'uomo sia libero, l'uomo pecherà,
E con i suoi peccati evidentemente entra il disordine, entra il male. E quindi solo l'unica maniera di impedire la sofferenza è che Dio impedisca la libertà, che tutti noi siamo dei robot, siamo delle macchine che si muovono meccanicamente senza poter scegliere il bene. Cosa fa che una persona sia buona se io l'obbligo ad essere buona? Un computer che funziona bene non è un computer virtuoso.
Un computer al quale lo hanno fatto funzionare bene e non può funzionare in un'altra maniera. La persona, se io l'obbligo ad essere buona, non è buona. La persona buona è la persona che sceglie liberamente la virtù. E perciò necessariamente molti non sceglieranno questo.
Se gli danno il male, e così è tutto il disordine. Però Dio non crea il male in se stesso. Dio permette la sofferenza, in qualche modo la vuole, la sofferenza fisica, non quella morale, non il peccato. La sofferenza morale sì, però non il peccato, non il male morale, volevo dire. La sofferenza morale è quella sofferenza piuttosto spirituale. Però non è causa di Dio, non era nel piano di Dio.
appartiene al disordine creato dal peccato la sofferenza per noi è circondata certamente di mistero ed è veramente san giovanni paolo ii dirà nella enciclica salvifici doloris che consiglio a tutti e che troverete qui nella descrizione del video è un testo forse un po difficile per quanto profondo per
forse da studiare, però veramente un testo che non ha paragone a nessun altro, perciò mi è sembrato più utile a tutti voi offrire direttamente questo testo. Però lì San Giovanni Paolo II dirà che giustamente quando noi parliamo che l'essere umano è un mistero, soprattutto questo ce lo rivela la sofferenza, il grado di sofferenza della persona.
Bene, cerchiamo di dare una risposta. Guardate che dalla risposta dipende un po' tutta la nostra vita. Dalla risposta al senso per cui io soffro dipende tutta la vita terrena e dipende anche la vita eterna. Direi anche che dipende la mia pace interiore sulla vita terrena e la pace soprattutto nel momento dell'eternità.
Viktor Frankl, questo psichiatra che è stato nei Lager, lui sempre dice questo, l'uomo è capace di soffrire qualsiasi cosa, può soffrire qualsiasi tipo di dolore, di martirio, perché gli dia un senso. Se non ha un senso, anche una piccola cosa, anche un graffio, fa entrare in depressione, in disperazione. Se io non ho un senso trascendente della vita, molto probabilmente non sono capace per soffrire.
E oggi tutta la società che cerca questo, di impedirmi di soffrire, è perché è una società che non vive per qualcosa di più grande. È una società che mi annulla un ideale da raggiungere. Mi vuole solo comodo, solo tra le comodità mondane, terrene.
Perciò cerchiamo noi di rispondere, seguiamo sempre passo per passo l'enciclica Salvifici Doloris. San Giovanni Paolo II inizia nel numero 1 all'inizio citando San Paolo, il famoso testo dove dice Io completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo in favore del suo corpo che è la Chiesa. Quindi Cristo ha sofferto in sé stesso
Però San Paolo dice noi dobbiamo completare quello che Cristo non ha sofferto. Come Cristo non ha sofferto? Certo che ha sofferto. Ha consegnato tutto se stesso? Sì.
Però Cristo ci ha lasciato anche la Chiesa, lui è il capo e noi le membra. Le membra anche devono soffrire insieme al capo. Tutta la sofferenza dopo la morte di Cristo dei martiri, dei confessori della fede, tutta la sofferenza vostra, la sofferenza di qualsiasi persona, è un modo di completare quella sofferenza del corpo di Cristo.
E perciò continua San Paolo, e questo a San Giovanni Paolo II gli sembra qualcosa di meraviglioso, dice, dopo aver detto questo, dice, perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi. San Giovanni Paolo II dice, c'è una gioia che nasce quando diamo alle sofferenze un senso di redenzione, un senso di salvezza, un senso di perdono.
Quindi quella sofferenza che per noi è un motivo solo di angoscia, solo un motivo di dolore, diventa gioia quando le do questo senso superiore, un senso di redenzione. Soffrire significa salvezza per me e per gli altri. E perciò sono lieto delle sofferenze, non in se stesse, ma per il frutto che producono. Il frutto è...
Eternità, vita eterna, paradiso, salvezza, purificazione dei peccati. E questo è ciò che realizza ogni persona che soffre. Un malato realizza questo piano di salvezza. Ogni malato, ognuno di voi che soffre anche minimamente, è una persona che necessariamente in questo momento deve dire sto operando la salvezza, la redenzione del mondo.
Perciò, dice San Giovanni Paolo II, la Chiesa deve incontrare l'uomo. La Chiesa deve incontrare l'uomo. E dove lo incontra? In una via, dice San Giovanni Paolo II. Fondamentalmente in una via. In quale via? Nella via della sofferenza. Perché la Chiesa deve completare la sofferenza di Cristo ed è la Chiesa che deve accogliere la sofferenza di tutti noi.
Quando noi soffriamo, la Chiesa è con noi. Dice, l'uomo lì diventa via della Chiesa. Molto bello questa espressione. È tutta la Chiesa che accoglie le nostre sofferenze, perché è la Chiesa che deve soffrire nel suo corpo, nelle sue membra. Perciò, dice San Giovanni Paolo II, l'Apostolo comunica la propria scoperta e ne gioisce.
a motivo di tutti coloro che essa può aiutare. Io esco non perché soffrire, ma per i beni che si seguono dalla mia sofferenza. Mi ricordo una volta che un sacerdote molto anziano, che era in sedia rotella, in carrozzina, aveva una sclerosi multipla, quindi poteva solo muovere appena appena la testa, parlare male, e lui diceva questo.
Guarda, io quando ero sacerdote, lavoravo con i giovani che camminavano lì, e avevo tante gioie sacerdotali, ero molto felice. Dopo, con questa malattia, sono dovuto rimanere in carrozzina, in sedia a rotelle, e lì però me ne sono accorto che ero più felice di prima. Ma adesso, quando io l'ho incontrato, invece era già a letto da cinque anni.
Come dicevo, solo muovendo un po' la testa. Adesso che sono a letto da cinque anni, la mia gioia è strapiena. La mia gioia non ha paragone, sono molto più felice. Una volta mi ha detto che è venuto un vescovo a incontrarlo e gli ha detto Padre, perché lei ha sempre il sorriso in mezzo a tanta sofferenza? E questo sacerdote...
che mi stava raccontando questo fece una pausa e io stesso attendevo che le ha risposto come fa a essere veramente un sacerdote molto felice Don Pepino di Filetta lo ricordo con molto affetto è morto sarà morto otto anni fa lui non mi rispondeva un vescovo mi ha chiesto come faccio io a essere felice a avere sempre il sorriso in mezzo a tanta sofferenza e io lo guardavo
che non rispondeva e lui dopo si gira mi dice si gira come come poteva appena noti sembra una vergogna che un vescovo non capisca che nella croce c'è la felicità guardate nessuno può dire che siano cose piacevoli in se stesse a nessuno di noi piacerebbe essere a letto per cinque anni
Però se con quello io opero la salvezza, se io sono convinto che sto operando con Cristo la redenzione del mondo, e lì forse gli do un senso, sto operando la salvezza per i miei parenti, per le persone lontane, per tanti animi che hanno bisogno della grazia di Dio.
Sto operando la mia salvezza. Guardate, Cristo apre le porte del paradiso con la sua croce e io, in base alla mia croce, aprirò le mie porte. Quindi ogni sofferenza è motivo di grande gloria. Perciò a San Giovanni della Croce, quando Gesù Cristo gli dice, Giovanni, che vuoi da me? Che grazia posso concederti? E San Giovanni della Croce gli dice, null'altro, Signore, se non patire,
Per amore tuo. La grazia di poter soffrire. Guardate. Facciamo un riassunto. Un riassunto di quello che possiamo chiamare la storia della sofferenza, in qualche maniera. E vedere come noi ci inseriamo in essa. Dio crea Adamo ed Eva e li crea innocenti. Loro erano...
in stato di innocenza originale, in piena grazia di Dio, in piena comunione di amore, di amicizia con Dio, di fiducia. Perciò quando dopo il peccato che Adamo si nasconde, Dio subito lo manda, ma che hai peccato? Perché ti nascondi? Come mai provare vergogna? In loro tutto era ordinato. Questa innocenza loro la trasmettevano alle altre generazioni generando figli, li generavano nella innocenza.
Però dopo il peccato, questo era il piano di Dio, trasmettere la grazia attraverso la via della innocenza. Generando figli avrebbero generato la grazia anche in altre persone. Dopo il peccato però Adamo e Eva perdono questa innocenza e quindi sia loro sia i figli che verranno non c'era più la via della innocenza per arrivare alla salvezza ma doveva essere necessariamente per la via
della penitenza, della espiazione di questo peccato. Perciò tutte le sofferenze che loro iniziano a provare, perciò da quel momento Dio dice che il piano di salvezza ancora è possibile, però d'ora in poi Eva dovrà partorire con dolore i figli. Dolore è una parola che loro non avevano sentita prima. Con dolore partorirai i tuoi figli. Con il sudore della tua fronte ti guadagnerai il pane, dice Adamo.
E parlerà delle sofferenze, poi inizieranno tutte le sofferenze. Questa, accettare questa penitenza, era accettare la punizione della mancanza, del peccato. E questo noi lo troviamo molto nell'Antico Testamento. Perciò il giusto Giobbe, che soffre anche ogni sorta di dolori, è combattuto dai suoi amici, perché i suoi amici gli dicono se tu soffri è perché tu hai peccato.
Giobbe invece continuamente difende la sua innocenza. Io non ho peccato, che mi valuti il Signore, che dica in che cosa ho peccato. Infatti Giobbe viene provato per provocazione di Satana, ma non per le sue mancanze. Però vedete, era sempre legato nell'Antico Testamento la punizione alla colpa.
Però allo stesso tempo è strano perché si apre una finestra, perché vedremo nell'Antico Testamento molto spesso la sofferenza dell'innocente. San Giovanni Paolo II tratta molto bene in Salvifici Doloris questo tema delle sofferenze di Giove. Che succederà?
che con il Nuovo Testamento Gesù Cristo anche lui dovrà soffrire, ma non per penitenza. Lui non aveva colpa, lui era innocente, non doveva fare penitenza di nulla, perché non aveva peccato. E quindi le sue sofferenze sono le stesse sofferenze di una persona, però per un motivo diverso, che è il motivo dell'amore. Un amore che consiste completamente nel dono di sé agli altri.
Cristo, Dio, che riceve da parte della creatura? Nulla. Dio ha tutto. Dio è perfetto. La sua donazione è completamente una donazione per il mio bene. È completamente il contrario dell'egoismo. E quindi qui abbiamo una penitenza, una sofferenza, che non è un pagare la propria colpa, ma è un atto di amore. E quindi quella penitenza...
Dopo il Nuovo Testamento, quella sofferenza, che nell'Antico Testamento era solo considerata giustizia, è per noi atto di amore. Voi vedete, noi possiamo considerarla anche come giustizia. Per esempio, pensate alla differenza tra il buon ladrone e il cattivo ladrone. Perché il buon ladrone è buono? Tutti e due stanno soffrendo.
Il cattivo ladrone. Perché cattivo uno e cattivo l'altro? Se erano tutti e due ladri, tutti e due stavano soffrendo la stessa situazione, tutti e due condannati. Uno però riconosce che era giusta la punizione. Noi soffriamo giustamente, ma lui non ha fatto nulla. La comprensione della sofferenza a questo lo rende buono. L'altro, che si lamenta, che bestemmia,
per quella punizione che meritatamente stava ricevendo, lo si fa considerare un cattivo ladro. Quindi, dal senso della sofferenza uno diventa buono o cattivo. Però non solo per giustizia, ma a tutti i santi che hanno voluto caricare la croce, lì ai piedi della croce c'era anche Maria, che soffriva più dei ladri e non diceva io però soffro giustamente, no, soffriva anche lei per amore.
E quindi la sofferenza del Nuovo Testamento diventa atto di amore e non solo di penitenza. Perciò molti si chiedono che significa che Cristo abbia vinto il diavolo sulla croce. Il diavolo è lo spirito di invidia, di egoismo. Lui non vuole servire Dio, vuole servire se stesso, quindi la propria ambizione della propria perfezione, al punto tale da preferire l'inferno a sottomettersi a un altro.
Il diavolo è uno spirito. E come si combatte uno spirito? Con lo spirito contrario. L'atto di Gesù Cristo, di morte in croce, di tutte le sofferenze, sono un atto d'amore talmente forte, talmente più grande, che lo spirito dell'egoismo proprio del diavolo viene completamente sconfitto. Viene completamente... cioè vince più l'amore che l'egoismo, che il peccato.
Molto spesso noi stessi in noi consideriamo più il peccato della grazia. Questo è sbagliato, questo non è cristiano. Dove abbonda il peccato, sovrabbonda la grazia. Dove è stato il diavolo a far peccare gli uomini, è stato Cristo, con un atto di amore infinitamente superiore, a redimerlo. Ecco perché noi, quando soffriamo, quando voi soffrite, noi ci inseriamo in questo atto di amore, nello stesso atto di amore di Cristo per noi.
Le nostre sofferenze non sono isolate. Non è che molto spesso io soffro da solo, mi sento da solo. Non è così. Per un cristiano è realissimo, realissimo, che le proprie sofferenze si inseriscono nel mistero della sofferenza di Cristo. E possono essere un atto d'amore, come è stato un atto d'amore quello di Cristo per noi. Voi pensate, la sofferenza di Cristo non ha paragone.
Lo vedremo quando parleremo la prossima volta sulla preghiera, sulla meditazione. Però voi pensate a come Cristo a Getsemani si presenta colpevole dai miei peccati. Non è che Cristo sopporta quello che deve sopportare. Lui positivamente si presenta colpevole. Come se lui, io ho peccato e lui invece si presenta il colpevole per ricevere lui la punizione.
dei miei peccati, la punizione che io dovrei ricevere, la riceve lui e per farlo si presenta colpevole. Come se dicesse, io ho commesso questo peccato, ricada su di me la punizione. E così leggiamo nel quinto evangelista, come si chiama un po', Isaia, soprattutto parlando del servo sofferente, al capitolo 53.
la descrizione del servo sofferente che è la descrizione di Cristo, che è veramente da meditare tutta la vita. Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, sfigurato, sfigurato dalle sofferenze che per amore mio assume, disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori, che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia,
Era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure, Egli si è caricato delle nostre sofferenze. Le mie sofferenze se le carica Lui. Ma si ha dosato i nostri dolori. Lui soffre, Lui sente dolore. Il dolore che io sento, lo sente anche Lui. Lo condivide completamente.
E noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafito per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui. Per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Ecco perché da questa potenza salvifica che ha la sofferenza,
È che quando Pietro vuole allontanarlo dalla croce, Gesù lo chiama Satana. Allontanati da me, Satana. Tu mi sei di scandalo. Non che Gesù la passerà bene nella sua passione, soffrirà, però lui dava alla sofferenza il senso di salvezza. E perciò voleva la sofferenza. E chi voleva allontanarlo dalla sofferenza era Satana.
Perché Satana sa, e lo sa molto bene, che quando noi soffriamo, noi stiamo attaccando il suo potere, potere di egoismo, di invidia, di ambizione della propria perfezione. Quando noi soffriamo e accettiamo per amore questo, questa sofferenza si è inserita alla sofferenza di Gesù, a tutta la potenza della croce di Cristo. Io parlo a una persona che in questo momento si ha letto,
Mi stia ascoltando e semplicemente devo dirle questo. La sua malattia se la inserisce ai dolori di Cristo a tutto il potere della croce di Cristo. Lo stesso potere che ha avuto la croce di Gesù per salvarci e lo stesso potere che ha la sua malattia. Finisco semplicemente con questo.
Anche se potremmo dire tante cose, consiglio a tutti la lettura di Salvifici e Doloris, per quanto possa essere talmente profonda, talmente teologica, che è per alcune parti un po' difficile da seguire. Però c'è un testo di San Paolo ai Romani che dice così. Fratelli, io ritengo che le sofferenze del momento presente non siano paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi.
San Paolo prometteva un grande premio e dice San Tommaso da cui non fa un commento. Perché non si dicesse che va bene il premio, però le fatiche sono troppe. Pensiamo nelle fatiche per essere cristiani nel nostro tempo. Pensiamo noi alla fatica di essere sacerdote, di essere religiosa, di una famiglia che vuole vivere veramente, di educare religiosamente i figli, delle difficoltà economiche.
Uno dice, è troppo pesante il peso. Bene, dice San Tommaso, perché non dica a nessuno che è troppo, che la sofferenza è troppa. Molti autori dicono che credere che soffriamo troppo è una tentazione diabolica, perché disprezzare la sofferenza è annulare la redenzione. Perciò dico, soffrire è reale, a nessuno auguro la sofferenza. Però,
Quando il Signore chiede di portare la croce, chiede a noi di dare quello che fruttificherà come redenzione. Ecco perché non si può rifiutare la croce senza così abbandonare anche la salvezza, la propria e quella degli altri. Quindi, se noi diciamo questo perché nessuno dica, dice San Tommaso, che soffre troppo, allora ricorda San Paolo
della gloria futura che dovrà essere rivelata in noi. E guardate, l'uomo saggio parla di ciò che sa, dice il libro dei Proverbi. San Paolo era saggio, San Paolo aveva sofferto tantissimo. Lo ricordo a lui stesso. Dice ai Corinzi, spesso in pericolo di morte, cinque volte ho ricevuto 40 colpi meno uno, tre volte sono stato sbattuto con le verghe, una volta sono stato lapidato.
Tre volte ho fatto naufragio, ho passato un giorno e una notte negli abissi marini. Io credo che nessuno di noi abbia sofferto questo. Spesso in viaggio, in pericolo sui fiumi, pericolo per i briganti, pericolo da parte dei miei connazionali, in pericolo da parte degli stranieri, pericolo in città, pericolo in deserto.
Pericoli sul mare, in pericolo tra falsi fratelli, in fatiche e in pene, spesse volte in veglie, nella fame, nella sete, spesse volte nei digiuni, nel freddo, nella nudità. Quindi San Paolo quando dice le sofferenze del momento presente, sa di che cosa sta parlando. Sa perché ha sofferto molto. Queste sofferenze...
Dice, non sono paragonabili alla gloria futura. Perché? Perché dirà più avanti, sembra i Corinzi, anche lui racconterà di aver contemplato la gloria. Fui rapito in paradiso e udì parole arcane che non è lecito a uomo pronunciare. Quindi conosce tutti e due la gloria, ma anche le sofferenze. E dice, lui che conosce entrambe, non sono paragonabili. È molto più grande la gloria che riceveremo delle sofferenze presenti.
E quindi anche se è reale per voi, per molti di voi che starete soffrendo, se è reale la sofferenza, e negarla è solo un atteggiamento mondano, è reale e fa male, e avere compassione gli uni degli altri sia un dovere del cristiano, e sostenere la croce degli altri con la compassione sia un dovere, però comunque non smettiamo mai di contemplare la grandezza dei beni che ci si promettono.
Vale la pena ogni sforzo, vale la pena ogni sofferenza perché il premio è troppo grande. Perciò quando si dice nel Vangelo, sempre negli Atti degli Apostoli, è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel Regno dei Cieli, non dice che sia conveniente, che sia un aiuto, dice è necessario, è necessario soffrire.
E siccome tutti dobbiamo soffrire, buoni, cattivi, mondani, credenti, non credenti, tutti dobbiamo soffrire, però noi credenti sappiamo che questa sofferenza non è invana, non è invano, è sempre sofferenza nella quale si nasconde tutto il potere della croce. E perciò, come dicono molti santi, se in paradiso si potesse soffrire, non si può soffrire, se si potesse soffrire, l'unico motivo di sofferenza sarà non aver sofferto di più qui sulla terra.
Vedendo quanta gloria, quanti beni riceveremo in Paradiso dalle piccole sofferenze, veramente saremo desiderosi di soffrire sempre di più, sia per i beni che riceviamo, sia per l'amore del Signore che per noi soffri la sua passione. Un caro saluto a tutti e Rege o Maria.